Vedere e cogliere lo spirito del tempo in divenire, senza zavorre e strabismi
Il progetto di pianificazione ospedaliera attualmente al vaglio delle autorità, con due ospedali di riferimento e due di prossimità. È adeguato il ruolo che si deputa in futuro agli istituti di prossimità?
La pianificazione ospedaliera cantonale ticinese deve tener presente, unitamente alla legge federale, anche la particolare conformazione del nostro territorio e le preziose risorse in essere. Non è pertanto immaginabile una pianificazione a tavolino calata dall’alto, come alcuni vorrebbero, senza tener conto dei bisogni e delle realtà regionali. Il progetto che prevede due ospedali di riferimento e due di prossimità può essere una valida soluzione, a patto che non si voglia diventare “più papisti del Papa” e, sull’onda di una visione monotematica di tipo centralistico, che non si esaltino a dismisura le imposizioni non strettamente necessarie e si scada in uno sterile eccesso di zelo.
L’impressione è che il Dss abbia infatti posto sin dall’inizio eccessive limitazioni e steccati. Penso in particolare ad una pianificazione delle specializzazioni (mandati) che si sono estesi oltre le esigenze previste dalla legge, laddove invece sono necessarie rispetto alle superspecializzazioni e alla Mas (medicina altamente specializzata). E pertanto significativo che la Commissione parlamentare abbia invitato l’Esecutivo a rivedere i mandati di prestazione. Infatti questo modo di operare del Dss presuppone, a mio avviso, l’errato concetto che concentrando i servizi si migliori automaticamente la qualità dell’offerta. Ma penso pure al declassamento di quegli ospedali che sono stati penalizzati con la riconversione in istituti di cura e che, nel complesso, comporterà la trasformazione di 2 50 posti letto acuti in letti post-acuti e sub-acuti; ovvero a minor intensità di cure. Anche qui ci troviamo di fronte ad un errore strategico, pianificatorio e di servizio alla popolazione. Questi letti devono infatti poter continuare ad essere considerati ospedalieri e, dunque, inseriti in una struttura acuta. Ciò rientra nel concetto di cure di prossimità qualificate, efficienti e efficaci proprio in virtù dei bisogni degli utenti e dell’evoluzione demografica. Interessante il fatto che, anche qui, la stessa Commissione abbia bocciato il concetto di ‘istituto di cura’ ritenendo invece più opportuno la creazione di reparti ospedalieri Ami (acuti di minor intensità). Come gestire al meglio la collaborazione tra pubblico (Eoc) e privato (cliniche, centri studi medici, case anziani, ecc), in modo efficace e senza creare doppioni ? Qual è la sua opinione? Con questa pianificazione ospedaliera cantonale vi sono tutte le premesse per finalmente concretizzare quanto vado ripetendo da anni ma che non si è mai voluto affrontare e risolvere, ossia la collaborazione fra pubblico e privato. Possiamo ora finalmente colmare questa lacuna che rappresenta una pesante ipoteca per il Cantone. Non solo riguardo ai costi, ai doppioni e alle inutili ridondanze, ma anche riguardo alle sterili presunzioni di una supposta supremazia del pubblico rispetto al privato.
La storia ci insegna infatti che la sanità ticinese non ha mai dovuto aspettare imposizioni Politiche per adattarsi in modo fies• sibile ai rapidi cambiamenti sociali e agli sviluppi della medicina, coinvolgendo personalità e professionisti di vaglia ed eliminando in modo naturale attività e strutture inefficienti e inefficaci. Come pure —ed è ancora la storia che ce lo insegna —il fatto che se si interviene dall’alto togliendo mandati a un ospedale si sancisce di fatto il suo livellamento verso il basso. E che dire poi della necessità intrinseca di poter mantenere viva una sana e virtuosa concorrenzialità tra ospedali e cliniche che, invece, una gestione eccessivamente verticistica e statalista rischia di infiacchire se non addirittura annullare?
Il modello sanitario prevede una sana diversificazione e concorrenzialità fra nosocomi essendo meno oneroso dei modelli che insistono sulla concentrazione e l’esclusività. Ecco allora che il settore pubblico non può che trarre vantaggi da questa sinergia e, pure, un non trascurabile elemento di stimolo nella gestione oculata rispetto ai criteri di economicità, efficacia ed efficienza. Anche qui la Commissione parlamentare ha ravvisato la necessità di pianificare una collaborazione virtuosa in tal senso.
A mio avviso, però, questa deve interessare non solo le strutture ospedaliere ma, pure, le offerte che fanno capo a istituti e centri clinici semistazionari (cliniche di giorno) e ambulatoriali. In questo senso vedo positivamente anche il coinvolgimento dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale.
Le resistenze in tal senso — un misto di paura e di diffidenza — appaiono però purtroppo ancora molto presenti, pur essendo retaggio di dinamiche e concezioni oramai obsolete e avulse di fondamento. Queste però potranno essere superate solo quando l’atteggiamento del Dss e dell’Eoc nei confronti della sanità privata si apriranno ad una visione di servizio, implementazione e di opportunità per la sanità stessa e nell’interesse primario del paziente. I segnali di disgelo sembrano ciò nondimeno promettenti.
E, perciò, tanto più benvenuta in tal senso la disponibilità e l’apertura da parte del settore privato chiamato a questa nuova sfida e che ha già visto i primi frutti unitamente ad altre che, in assenza di ripensamenti, si svilupperanno a breve-medio termine.
Infine, un fattore ulteriore che potrà favorire questa collaborazione e sinergia è dato ora dal master in Medicina all’Usi e dalla nuova Facoltà di scienze della vita; progetti questi che necessariamente richiederanno una intensa e nuova forma di collaborazione fra pubblico e privato e che non faranno che qualificare ulteriormente l’eccellenza della nostra offerta sanitaria.
Recenti casi hanno portato alla luce delle lacune nella verifica dell’idoneità all’esercizio da parte di personale medico. Quali le misure secondo lei da intraprendere da parte dell’autorità di vigilanza e degli operatori di settore per migliorare la situazione?
Evidentemente le autorità di vigilanza non possono più illudersi di poter continuare gestire questo controllo nel modo in cui è stato fatto fino ad ora. Questa mia critica non è però indirizzata tanto alle persone che si occupano e si occuperanno di ciò quanto piuttosto nei confronti di un sistema amministrativo e burocratico che a mio avviso si è assunto un compito improbo e falsamente rassicurante.
Gli elementi che potranno scongiurare pericolose recidive in questo ambito potranno essere risolte solo tenendo presenti alcuni principi basilari come i concetti di trasparenza, semplificazione, collaborazione, competenza, condivisione, unitamente al principio di responsabilità personale, individuale, non trasferibile e non alienabile che troppo spesso è stato calpestato e sostituito da quel disastroso e fallace quanto effimero concetto che va sotto il nome di responsabilità collegiale; una bella quanto inutile foglia di fico che serve solo a nascondere l’insipienza, l’impotenza e una forma insidiosa di pericolosa connivenza e supponenza.
In pratica, le autorità di sorveglianza dovranno necessariamente coinvolgere preventivamente, in un progetto che voglia affrontare la soluzione del problema, anche il settore privato nel quale andare a individuare quegli esponenti della sanità che meglio possono rappresentare e svolgere questo mandato.
In secondo luogo, non dovrà più essere possibile l’accumulo di cariche che possono anche solo lontanamente configgere fra loro.
In terzo luogo sarà necessario avere un coinvolgimento delle associazioni di categoria interessate unitamente alle autorità accademiche.
Da ultimo, ma non per ultimo, bisognerà definire chiaramente le funzioni, i compiti, le responsabilità, il cahier des charges di ogni medico specialista e primario, e non solo. Solamente quando questi potranno occuparsi in modo elettivo della loro attività specialistica medico-tecnica, della ricerca, della formazione, dell’insegnamento, della gestione dell’équipe – e, quindi, senza che abbiano a doversi occupare o a doversi interessare ad attività o mansioni che non siano di loro stretta competenza – si potranno finalmente scongiurare le derive che abbiamo visto in passato e che ancora oggi vediamo nei Paesi a noi vicini!
Una possibile strada da percorrere potrebbe essere allora quella di coordinare a livello cantonale un modello condiviso di contratto di lavoro dei medici primari in modo tale da chiarire le responsabilità, gli oneri e la separazione netta fra attività professionale e fatturazione delle prestazioni erogate, in modo tale che sia chiaro sin da subito che le responsabilità relative agli onorari fatturati dall’amministrazione non possono più essere influenzate o condizionate dal medico stesso in funzione della sua discrezionalità, al di fuori del suo effettivo e riconosciuto operato.
Evidentemente, però, una maggior trasparenza, chiarezza e condivisione a livello nazionale e nei confronti degli assicuratori malattia aiuterebbe in tal senso, così come una maggior disciplina e chiarezza a livello dell’Esecutivo e del Legislativo cantonale: ma questo, al punto in cui siamo, dovrebbe essere oramai acquisito. O sbaglio?
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Orlando Del Don
Medico, Psicoanalista, Politico
Classe 1956, Medico, psicoterapeuta, docente, scrittore, editore. Questo blog è il mio mezzo per parlare online di società, sanita, cultura, informazione, territorio e altro ancora.
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